La cultura aziendale non può essere copiata

E’ successo a tutte le aziende almeno una volta in passato: Viene assunto un nuovo collaboratore che ha convinto nel processo di reclutamento più o meno sofisticato. Le sue competenze, l’esperienza fatta, la formazione e le conoscenze sembrano ideali. Dopo pochi mesi invece diventa chiaro che tra l’azienda e il nuovo collaboratore non c’è la giusta chimica. Non si inserisce nella nostra cultura. Nel caso ideale ci si separa ancora nel periodo di prova, nel peggiore dei casi, solo molto più tardi, con i necessari costi aggiuntivi. Resta il fatto che, nel caso specifico, il candidato è stato probabilmente scelto in modo errato e che, allo stesso tempo, questo candidato avrà sicuramente successo in un’altra azienda, cioè quando trova un’azienda in cui la sua esperienza, le conoscenze, le competenze e la formazione di cui ha beneficiato maturano su un terreno culturale che corrisponde a quello del collaboratore.

“Cultura” deriva dal termine latino “cultura o cultus” e significa più o meno “coltivazione del suolo e coltivazione, miglioramento, sviluppo di una pianta, di un animale o di un prodotto in generale”. Anche il latino “colere”, che è tradotto come “coltivare”, è nella parola “cultura”. Le nuove definizioni di cultura si allontanano dall’agricoltura e dall’allevamento e spiegano il termine come “l’insieme dei modelli di comportamento, delle arti, delle credenze, delle istituzioni e di tutti gli altri prodotti del lavoro umano e delle sue invenzioni”. Di conseguenza, potremmo definire la cultura aziendale come “la trasmissione e il mantenimento di modelli comportamentali, credenze, arti, lavoro umano e invenzioni specifici nel contesto aziendale”.

Per leggere l’articolo completo di Markus Weishaupt:

La cultura aziendale non può essere copiata