Le esigenze delle comunità sono radicalmente cambiate rispetto al passato. La pandemia virale diffusasi a fine 2019 nell’arco di due anni ha contribuito ad acuire questo mutamento: le tendenze si sono diversificate, e con esse necessità, abitudini, ma anche modalità di lavoro e bisogni. La risposta al cambiamento interessa inevitabilmente gli spazi di relazione, luoghi in cui nasce ora una nuova forma di condivisione. Discipline come architettura, urbanistica e design diventano strumenti con i quali intervenire per allineare le rinnovate richieste della società con un nuovo modello di pianificazione territoriale. Se da un lato gli spazi indoor mostrano oggi caratteristiche differenti rispetto al passato, privilegiando ambienti open-space negli uffici o edifici polifunzionali che racchiudono molteplici destinazioni d’uso, allo stesso modo l’organizzazione dell’outdoor si fa portavoce di una nuova sensibilità. Un senso di appartenenza nei confronti del territorio che abitiamo decisamente più marcato rispetto al passato, manifestazione dell’avvicinamento a tematiche oggigiorno sempre più tangibili, e che rappresentano la direzione verso cui i professionisti del settore si stanno muovendo. Ciò che ora parla agli utenti è il tema della sostenibilità in ambito outdoor, così come la creazione di nuove aree verdi in cui trovare ristoro lontano dal traffico dei grandi centri urbani, o ancora una gestione dell’arredo urbano legata ai processi di riuso e upcycling. La vera novità parte dal modo di concepire le città, poli urbani declinati il più possibile sui fruitori degli spazi, che danno vita a luoghi versatili, flessibili, trasformisti, in grado di cambiare layout facilmente e in modo veloce. Gli espedienti di controllo e organizzazione degli spazi outdoor, che aiutano a immaginare città più inclusive, si declinano su larga e piccola scala. In questa linea d’azione si inserisce uno dei maggiori volani del movimento di riappropriazione dell’outdoor, il cosiddetto “urbanismo tattico”, ovvero l’insieme di interventi non invasivi e a basso costo attuati sulle piccole porzioni di città, negli spazi marginali, nelle piazze, tra gli edifici, negli slarghi, sui percorsi ciclo-pedonali e persino sui marciapiedi. Con l’avvento di progetti pilota e l’esperienza maturata, “l’urbanismo tattico” pare essere il modello prevalente nella pianificazione urbanistica delle città, specialmente dei piccoli comuni. Le potenzialità di applicazione sono innumerevoli, e vengono tarate sui diversi bisogni dei cittadini: attività all’aperto per giovani e bambini, luoghi accoglienti e curati in cui passeggiare in piena sicurezza per le famiglie, ambienti outdoor per il fitness come palestre all’aperto e parchi attrezzati, aree per eventi a cielo aperto come arene ricavate sui dislivelli naturali del terreno. Spazi che offrono molteplici opportunità d’uso e che si possono adeguare a un numero sempre più ampio di attività, mutevoli nel tempo. La sfida coincide con il dare forma a location in linea con i paradigmi della nuova società, che vive di influssi multietnici e multigenerazionali, che spinge verso una mobilità più sostenibile e nuove forme di coesione sociale. La cosiddetta “rigenerazione urbana green” passa sicuramente attraverso queste tipologie di interventi, azioni ancor più incisive e consapevoli quando sfruttano prodotti derivanti da fenomeni di upcycling. La buona riuscita di tale programmazione è testimoniata dall’evoluzione che molte città italiane stanno portando avanti, su tutte padroneggia Milano. Nel capoluogo lombardo, la pianificazione messa in campo dall’amministrazione ha portato a risultati innovativi nell’ultimo decennio. Un approccio che rivolge lo sguardo alle nuove generazioni, sfruttando il progresso della tecnologia e allineandosi alle direttive dell’Unione Europea, basate sul contenimento dell’inquinamento urbano e sull’adozione di soluzioni sostenibili per il pianeta. La nascita di orti urbani, così come la nuova configurazione di spazi verdi, parchi pubblici e piazze attrezzate è in continua crescita. In questa direzione si muovono gli interventi di pedonalizzazione di alcune porzioni urbane, tra cui Piazza Castello, su cui si affaccia il Castello Sforzesco. Un modello urbanistico che si avvicina alla conformazione delle città del Nord Europa, come Utrecht nei Paesi Bassi o Copenaghen in Danimarca. Se Milano rappresenta l’esempio più virtuoso nel nostro Paese, altri centri stanno gradualmente crescendo, dai comuni più piccoli a quelli di maggior estensione, in cui cultura e storia coesistono in progetti di rigenerazione urbana che esaltano il territorio. A Torino è stata infatti recuperata un’area a ridosso della Dora Riparia, fiume che dà nome al Parco Dora, progetto vincitore del concorso internazionale basato sul masterplan di
Jean-Pierre Buffi e Andreas Kipar. Il progetto si sviluppa su un’area di estensione pari a circa 456.000 m2 e fa parte di un imponente intervento di riorganizzazione urbanistica della città. Il parco sorge infatti nella zona denominata Spina 3, parte della cosiddetta “Spina centrale”, estesa area urbana del capoluogo piemontese che si sviluppa in direzione nord-sud secondo l’andamento del vecchio tracciato ferroviario, considerata il più grande intervento infrastrutturale realizzato in città dal secondo dopoguerra. Il progetto del parco è il risultato di una gara indetta nel 2004, il cui vincitore fu un gruppo costituito da più progettisti, tra cui lo studio tedesco Peter Latz che ha sviluppato il progetto paesaggistico, Ugo Marano per il progetto artistico e Studio Pession Associato per gli interventi di archeologia industriale. L’intera area è stata suddivisa in cinque lotti: Michelin, Ingest, Vitali, Valdocco e Mortara. La caratteristica che accomuna queste zone è la presenza fino agli anni Novanta di alcune tra le più storiche fabbriche e industrie di Torino. Durante le fasi di sviluppo del progetto urbanistico sono state seguite alcune linee guida che hanno agevolato l’attività di coordinamento tra i vari studi: la volontà forte di integrare il parco con l’area fluviale è stata la prima vera direttrice, cui si affiancarono una decisa metamorfosi dell’esistente nel rispetto delle preesistenze e della storia del luogo. Da ultimo ha avuto un impatto fondamentale il rapporto tra parco e città, sviluppato integrando ogni lotto con il relativo intorno in modo tale da creare un dialogo con il resto della città. L’intervento nella sua totalità si configura come una serie di azioni ripetute ed estese ad un’area piuttosto vasta, mirate all’esaltazione del verde e al mantenimento dell’identità del luogo attraverso il riutilizzo e l’integrazione dell’archeologia industriale. Azioni che rimandano al tema dell’urbanismo tattico, declinato però all’interno di un programma progettuale in cui singoli interventi definiscono un unicum architettonico e urbanistico I nuovi spazi non solo contribuiscono a ripristinare un’area dismessa ma implementano l’offerta di ambienti outdoor a servizio dei torinesi, rivolgendosi a un pubblico diversificato, poiché all’interno del parco coesistono più attività. I bambini possono così divertirsi nelle aree gioco, gli anziani godersi una passeggiata tra storia e natura, i più atletici dedicarsi allo sport, come calcio, tennis e basket; gli artisti possono sfoggiare le loro opere nella sezione dedicata ai graffiti, i più temerari possono cimentarsi sulle rampe con skateboard e rollerblade. Il lotto Vitali, in virtù della propria centralità e dell’intervento di archeologia industriale proposto e realizzato dallo Studio Pession Associato, risulta essere il più suggestivo tra tutti e cinque i lotti del parco. Qui sorgevano un tempo le acciaierie delle Ferriere Fiat, che producevano i lingotti alla base della produzione di lamiere, tubi e molle. In origine il complesso comprendeva due capannoni, i quali ospitavano le varie fasi di lavorazione. Di uno dei due è stata rimossa la copertura, recuperando però i caratteristici pilastri dipinti di rosso e le torri in calcestruzzo, mentre nel capannone dello strippaggio (fase di estrazione dei lingotti d’acciaio dallo stampo in cui venivano prodotti) è stata conservata la tettoia, al di sotto della quale sono stati ricavati dei campi da gioco. L’intero lotto è completato da giardini acquatici ricavati nelle vasche di decantazione, aiuole, orti comuni, oltre al recupero delle pavimentazioni industriali e alla piantumazione di nuove specie tra piante ad alto e basso fusto. Il lotto è arricchito da una passerella sopraelevata in acciaio zincato che collega altri due settori, Mortara e Ingest. Luci a LED di colore rosso, blu e verde completano il percorso esperienziale che si compie all’interno del parco. Parco Dora rappresenta un esempio ben riuscito di rigenerazione urbana di scala vasta. Ciò che lo rende un modello da prendere come riferimento per futuri programmi di pianificazione urbanistica è l’ottica green con cui è stato pensato, e considerando che la gara per l’affidamento dei lavori è stata indetta circa 20 anni fa, sicuramente il progresso dei materiali, le nuove tecnologie e la buona pratica possono sviluppare interventi simili con risultati ancor più sorprendenti. Con “visione green” si intende la capacità di progettare ascoltando le esigenze della comunità, del pianeta e del territorio, in questo senso va intesa la scelta di una mobilità esclusivamente ciclo-pedonale all’interno del parco, così come la decisione di non demolire la totalità delle preesistenze ma anzi valorizzarle. La risposta del popolo torinese è stata positiva e il parco Dora è ad oggi un punto di riferimento anche per l’organizzazione di eventi temporanei a carattere culturale, tra cui mostre a cielo aperto e festival musicali.
Nome progetto: Parco Dora
Luogo: Torino
Committente: Comune di Torino
Superficie: 456.000 m2
Cronologia:
2004 – Concorso di progettazione
2004-2007 – Progettazione
2007-2016 – Cantieri
Progetto
Masterplan: Jean Pierre Buffi e Andreas Kipar
Progettazione e direzione lavori: Servizi Tecnologie Sistema spa (Coordinamento), Latz+Partner (Capogruppo, Paesaggio)
Consulenti
Strutture: CMC Studio Ingegneri Associato
Illuminazione: Gerd Pfarrè Design
Progetto artistico: Ugo Marano
Archeologia industriale: Studio Pession Associato
Foto: © Andrea Serra, Studio Pession
Disegni: © Latz+Partner