Covid e quarantena in casa: tutti in veranda! Ma attenzione ai permessi
In questo momento di pandemia i contagi sono molto diffusi e dal 31 dicembre 2021 (decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 229) esistono nuove norme sulla quarantena per le persone che hanno avuto un contatto stretto con un positivo al COVID-19.
Il decreto prevede che, in caso di contatto stretto con un soggetto confermato positivo al COVID-19, la quarantena preventiva non si applichi, ma solo l‘auto-sorveglianza:
- alle persone che hanno completato il ciclo vaccinale “primario” (senza richiamo) da 120 giorni o meno;
- alle persone che sono guarite dal COVID-19 da 120 giorni o meno;
- alle persone che hanno ricevuto la dose di richiamo del vaccino (cosiddetta “terza dose” o “booster”).
Per il resto dei casi, chi viene a contatto con una persona positiva deve tutelare gli altri cittadini e fare un periodo di quarantena più o meno lungo in base a quanto riportato dal decreto. >>> Leggi tutto QUI
Chi deve rimanere a casa, e magari isolarsi dai conviventi ancora negativi, può sfruttare spazi diversi come tettoie o verande già presenti nella propria abitazione. Ma quali permessi servono per queste installazioni? In quali situazioni si parla di opera precaria? Vediamo nel dettaglio.
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Tettoia in condominio, struttura precaria che deve essere facilmente rimovibile
Nel caso in cui, invece, l’installazione consistesse in una struttura più incisiva, sarebbe necessario un idoneo titolo edilizio a costruire. >>> Potrebbe interessarti: COLONNE TETTOIA, NON VALGONO PER IL CALCOLO DELLE DISTANZE TRA EDIFICI
Quando si parla di sottotetti, verande, locali e tettoie chiamandoli come “precari” non si intende che debbano essere transitori, vista la finalità di ricavare dalle chiusure volumi fruibili ed abitabili con comodità ed in condizioni di igiene e sicurezza, bensì facilmente rimovibili, grazie ai sistemi costruttivi e al sistema di ancoraggio.
Ciò che ha effettivo valore, quindi, è la destinazione dell’opera, come viene sostenuto dalla Corte di appello di Palermo con sentenza 683 del 30 aprile 2021.
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Caldaia sul balcone e veranda a rischio
Il caso.
I proprietari di un appartamento si appellano contro la sentenza del Tribunale, che accoglieva in parte le domande fatte dal condomino del piano di sopra e li costringeva a disattivare la caldaia posta sul balcone o, se funzionante, di dotarla di canna fumaria idonea ad aggettare i fumi oltre il tetto dell’edificio e a eliminare la veranda che chiudeva parzialmente il terrazzo. I proprietari si opponevano fortemente anche dopo gli esiti degli accertamenti e delle conclusioni rese dal consulente.
Infatti, la caldaia era stata scollegata dalla rete del gas metano e privata del sistema di evacuazione dei fumi prima dell’avvio della causa, quindi non era necessario intervenire. Per quanto riguarda la veranda in alluminio anodizzato e ante a vetri realizzata a parziale chiusura del balcone, essi avevano ottenuto la concessione in sanatoria senza che il suo utilizzo andasse contro la natura precaria della struttura dovendo intendersi con questo termine un’opera agevole rimovibilità e non di temporaneità.
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Esiti dell’appello: la caldaia posta sul balcone
Quindi, l’Appello viene accolto, ma il Tribunale si premurava di affermare che la richiesta di cessazione delle immissioni insalubri non riguardava la tutela del diritto di proprietà, ma la protezione della salute. Ove si fosse accertato che ci fossero delle esalazioni pericolosi, era obbligatorio ordinarne la rimozione. Tuttavia, la caldaia presente, non solo era rimasta spenta, ma, inoltre, non presentava nessuna fuoriuscita di gas pericolosi.
Esiti dell’appello: la veranda a parziale chiusura del balcone
Per quanto riguarda la veranda, invece, era stata considerata difforme dall’autorizzazione dal momento che non soddisfava solo bisogni temporanei e contingenti, ma era destinata a durare nel tempo trasformandosi, così, in un nuovo spazio autonomo e utilizzabile. Per questo motivo, mancava l’attributo di precarietà.
Come già detto, la veranda era stata regolarizzata proprio in base a quella legge che esonerava da concessioni o autorizzazioni le chiusure di terrazze di collegamento, di terrazze inferiori a cinquanta metri quadrati o la copertura di spazi interni con strutture precarie, dopo aver ottenuto, nel caso, il nulla osta da parte della soprintendenza dei beni culturali ed ambientali per immobili vincolati.
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E questo si applicava anche alla chiusura di verande o balconi con strutture precarie da intendersi, come tutte quelle installate in modo da essere facilmente rimovibili.
E si definiscono verande – cui si assimilano le strutture aperte almeno da un lato (tettoie, pensiline, gazebo) e realizzate con sistemi precari – le chiusure o opere precarie realizzate in quel modo e relative a qualunque superficie esistente su balconi, terrazze e tra fabbricati.
Inoltre, l’amministrazione regionale consentiva la chiusura per ricavare volumi fruibili ed abitabili comodamente e in condizioni d’igiene e sicurezza. Per cui l’attributo di precarietà, valorizza la modalità costruttiva tanto che anche in questo caso “precario” fa intendere un’opera facilmente rimovibile e non come transitorio. La struttura leggera, quindi, rispettava la legge e la normativa regionale e non c’erano le condizioni per obbligarne la rimozione.
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Foto di copertina: iStock/Fotomax