Lera degli attuatori hi-tech
Può sembrare un paradosso, ma i migliori testimoni del processo di evoluzione che l’automazione degli edifici sta vivendo sono i suoi dispositivi più elementari e semplici: gli attuatori. È naturale che una centralina di controllo o un touch screen – dispositivi intelligenti, basati su logiche digitali – progrediscano rapidamente, se consideriamo che, secondo la prima legge di Moore, “le prestazioni dei microprocessori, e il numero dei transistor in essi contenuti, raddoppiano ogni diciotto mesi” (vedi figura 1). Meno scontato è che lo facciano anche gli attuatori, che in un impianto di automazione – posto che i controller siano la mente – rappresentano le braccia, la parte muscolare. Quanto veloce sia questa loro evoluzione è difficile dirlo. Per quel che ne sappiamo non esiste nessuna legge di Moore che possa stabilirlo o prevederlo. E per una ragione molto semplice: per quanto riguarda l’evoluzione degli attuatori non è possibile prendere in considerazione due sole variabili, cioè la potenza di calcolo e il numero dei transistor. Occorre tener conto di un numero di combinazioni e possibilità di gran lunga superiore. Facciamo solo un esempio: il relè. Fino a qualche decina di anni fa i relè erano dispositivi elettromeccanici. Poi vennero i relè a stato solido, nei quali la funzione dei contatti di commutazione è svolta da transistor o altri semiconduttori di potenza. Almeno per quel che riguarda certe applicazioni, i relè a stato solido sono superiori ai relè elettromeccanici, rappresentano indubbiamente un salto evolutivo: hanno una vita operativa più lunga, una maggior velocità di commutazione, richiedono una minor potenza di pilotaggio, sono insensibili alle vibrazioni meccaniche e garantiscono commutazioni silenziose, prive di rimbalzi…
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