Pergola e muro di cinta, quando si esce dall’edilizia libera
Molte volte una tettoia viene considerata in maniera sbagliata come pergolato. Il caso, con sentenza pronunciata dal Consiglio di Stato all’inizio dell’anno, riguarda due manufatti nel trentino realizzati per la sua attività.
Secondo il privato cittadino queste strutture sono assimilabili a pergolati, anche se presentavano dimensioni rilevanti (la prima di ml 10x 23 metri fino a 3,6 m di altezza; la seconda 22,35×12 metri per 4 metri di altezza); e oltretutto realizzate una con travi e pilastri in legno e copertura in lamiera, e l’altra con setti in cemento armato con sopralzo in legno (a costituire delle «vasche»).
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Pergola ed edilizia libera, le condizioni
Il Consiglio di Stato sostiene ancora una volta che, per rientrare negli interventi di edilizia libera, il manufatto deve essere «leggero, amovibile e non infisso al pavimento, non solo privo di qualsiasi elemento in muratura da qualsiasi lato, ma caratterizzato dalla assenza di una copertura anche parziale con materiali di qualsiasi natura, e avente nella parte superiore gli elementi indispensabili per sorreggere le piante che servano per ombreggiare: in altri termini, la pergola è configurabile esclusivamente quando vi sia una impalcatura di sostegno per piante rampicanti e viti».
Inoltre, sul concetto più volte spiegato di precarietà e amovibilità delle opere realizzate, «dal punto di vista prettamente edilizio, si è consolidato l’orientamento in base al quale si deve seguire “non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale“, per cui un’opera se è realizzata per soddisfare esigenze che non sono temporanee – come nel caso di specie in cui i manufatti sono stabilmente funzionali alle esigenze dell’impresa – non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie anche quando le opere sono state realizzate con materiali facilmente amovibili». >> Come più volte ribadito anche qui: COVID E QUARANTENA IN CASA: TUTTI IN VERANDA! MA ATTENZIONE AI PERMESSI
Muro di cinta e muro di contenimento, differenze di titoli edilizi
Il caso. In questa situazione si trattava di opere edilizie, tra cui un muro di cinta, realizzate in difformità rispetto al progetto e su un manufatto soggetto a più vincoli. Per questo motivo i giudici del Consiglio di Stato, nella sentenza dei primi dell’anno, si sono pronunciati su un diniego di sanatoria edilizia.
Si ricorda il discrimine che separa il muro di cinta dal regime di edilizia libera, realizzabile previa Scia, dalla necessità di un titolo edilizio che richiede un assenso dell’ente locale.
«Per quanto riguarda il muro di cinta e quelli di contenimento – rispondono i giudici – va ribadito il principio di diritto per cui i requisiti essenziali del muro di cinta sono costituiti dall’isolamento delle facce, dall’altezza non superiore a metri tre e dalla sua destinazione alla demarcazione della linea di confine e alla separazione e chiusura della proprietà».
«Diversamente – come continua la sentenza -, quando si è in presenza di un dislivello di origine artificiale, deve essere considerato costruzione in senso tecnico-giuridico il muro che assolve in modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento di un terrapieno creato dall’opera dell’uomo».
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Foto di copertina: iStock/Ziga Plahutar